LA LUNA SUI NOSSI MONTI

 

Ven sù la luna palida

da la Maranza scura:

coi ragi ciari e tremuli

la sc-iara la natura.

        Quando ghè luna piena

        i ragi i par d’arzent

        e vers la mezanote

        risplende tut Dos Trent.

L’ultimo quart de luna

se cucia drio ’l Bondon

e ’n de la note bruna

se perde la canzon.

LA MAMMA DEL SOLDATO

 

“O mamma, già lo squillo

di guerra odo sonar,

e l’italo vessillo

sull’Alpi ho da recar!”

 

        “Figlio, de le mie lacrime

        non so più trattener

        però tu devi compiere

        da forte il tuo dover.”

 

“O mamma, questo bacio

che in fronte ora ti do,

dal campo, nelle veglie

sempre lo manderò!”

 

        “Dì e notte, al campo, o figlio,

        ti seguirà il mio cor,

        e teco nel periglio

        mi sentirai ognor.”

 

“E se per la vittoria

dovessi anche perir,

o mamma mia, l’Italia

dovrai tu benedir!”

 

        “E se cadrai con gloria

        saprò, nel mio dolor,

        come da forti cadono

        d’Italia i difensor!”

LA MIA BELA LA MI ASPETA

 

La mia bela la mi aspeta

ma io devo andare a la guera

chi sa quando che tornerò.

 

Lo ardata a la finestra

ma io devo andare a la guera

la mia bela aspeterà.

 

Il nemico è là in vedetta

o montagne tutte bele

Valcamonica del mio cuor.

LA MONTANARA

 

Lassù sulle montagne

tra boschi e valli d’or

tra l’aspre rupi echeggia

un cantico d’amor.

 

La montanara, oè

si sente cantare;

cantiam la montanara

e chi non la sa.

La montanara, oè

si sente cantare

cantiam la montanara

e chi non la sa.

 

Lassù sui monti dai ridi d’argento

una capanna cosparsa di fior:

era la piccola dolce dimora

di Soreghina la figlia del Sol

la figlia del Sol!

LA NOSTRA CRICA

 

Sa l’è la nostra crica, na banda bin montà,

faita d’alpin alegher, an gamba e bin piantà.

S’ l’è ’l Pero ’l cap d’la crica, s’lè guida e condutour,

con noi jè alegria, a jè sempre ’l bon umour.

        Viva la nostra crica,

        banda de l’alegria;

        fra i alpini almeno

        jè pa d’ malinconia.

        Viva le belle gite

        su e giù per le montagne,

        ’n po da sì, ’n po da là,

        ’n po da sì, ’n po da là,

        ’n s’la punta jè rivà.

Se qualche amis m’invita a visitèi’na crota,

per feie onour a Baco, noi soma sempre an piota;

da veri fieui d’Noè, amanti del vin bòn,

sa bastu nen le boute, beivoum anca i pinton.

        Scopo d’la banda nostra l’è d’ fè passè i sagrin;

sa jè qualch cosa an giostra, andoma al Barolin

o poura sui doi mila, la, fra la fioca e ’l gel,

a jè pa niun che strila, i’ cantòm al ritournel:

        Viva la nostra crica,

        banda de l’alegria;

        fra i alpini almeno

        jè pa d’ malinconia.

        Viva le belle gite

        su e giù per le montagne,

        ’n po da sì, ’n po da là,

        ’n po da sì, ’n po da là,

        ’n s’la punta jè rivà.

LA PAGANELLA

 

“Voria véder el Trentin

da ’na vista propi bella”.

“No sta’ a perder massa temp

e va’ su la Paganella”.

 

“Cossa èl ’sta Paganella?”.

“Ma no sat cossa che l’è?

L’è la zima la pù bela,

de pù bele no ghe n’è”.

 

        Tote ’nsema ’na putela

        e ’na bozza de bon vin,

        per goder la Paganella

        e la vista del Trentin.

 

Da là se vede ’l ziél

i torenti e le vedrete;

va l’ociada, va ’l pensier

del confin fin a le strete.

 

Da ’na banda trenta laghi

e d’Asiago l’Altipian

e da l’altra San Martino

e zò zò fin a Milan.

 

        Tote ’nsema ’na putela

        e ’na bozza de bon vin,

        per goder la Paganella

        e la vista del Trentin.  

LA PASTORA

 

E là su, sulla montagna
gh'era su 'na pastorela,
pascolava i suoi caprin
su l'erba fresca e bela.
 
E di lì passò un signore
e 'l ghe diss "oi pastorela,
varda ben che i tuoi caprin
lupo non se li piglia".
 
Salta for lupo dal bosco
con la faccia nera nera;
l'à magnà 'l più bel caprin
che la pastora aveva.
 
Ed allor si mise a piangere;
la piangeva tanto forte
ai vedere il bel caprin
vederlo andar a morte.

LA PENNA NERA

 

Sul cappello, sul cappello che noi portiamo

c’è una lunga, c’è una lunga penna nera

che a noi serve, che a noi serve per bandiera

su pei monti, su pei monti a guerreggiar.

 

        Oi-la-là

 

Su pei monti, su pei monti che noi saremo

pianteremo, pianteremo l’accampamento

brinderemo, brinderemo al reggimento

viva il 10°, viva il 10° degli alpin.

 

        Oi-la-là

 

Su pei monti, su pei monti che noi saremo

coglieremo, coglieremo le stelle alpine

per donarle, per donarle alle bambine

farle piangere, farle piangere e sospirar.

 

        Oi-la-là

 

Su pei monti, su pei monti noi andremo

pianteremo, pianteremo il tricolore,

o Friuli, o Cadore del mio cuore

vi verremo, vi verremo a liberar.

 

        Oi-la-là

LA RAGAZZA DELLA VALSESIA

 

E la ragazza della Valsesia

a prendere l'acqua se ne va

e se la strada è troppo lunga

e la si ferma a riposà!

 

        E mentre ella la si riposa

        un bell'Alpino la va incontrà;

        lei torna a casa dalla sua mamma:

        "Mamma mia mi hanno bacià!"

 

"Accendi il lume, o Celestina,

accendi il lume e va a dormì;

domani mattina, mattina bonora

dal tenentino ghe vado mi."

LA RIVISTA DEL BOTTINO

 

Dopo la marcia di avvicinamento

le scarpe son già rotte e consumate.

Corro al magazzen rifornimento

perché mi sian tosto ricambiate.

 

Il tenente mi consegna due scarponi

e dice: “Queste ti andranno ben.”

 

        E le scarpette

        che noi portiamo

        son le barchette

        di noi soldà.

        E tu biondina… ecc.

 

Un fosso d’acqua trovo nel cammino;

sporco e affaticato già mi sento;

su d’esso, molto ansioso io mi chino

e la gavetta, d’acqua, riempio a stento.

Poi la faccia smorta mi rinfresco

e più giulivo ricomincio a marciar.

 

        E la gavetta

        che noi portiamo

        è il lavandino

        di noi soldà.

        E tu biondina… ecc.

 

Dopo una notte triste di battaglia,

quando al mattino spunta l’alba e il sole,

si sente ancor superba la mitraglia

e di lontano splende il passo Buole,

stanco alla borraccia m’avvicino,

sogno in cantina di trovarmi allor.

 

        E la borraccia

        che noi portiamo

        è la cantina

        di noi soldà.

        E tu biondina… ecc.

 

Il turno di riposo è già arrivato,

compagni freschi vengono in trincea

e noi che a un tavolaccio abbiam sognato

scendiam per il riposo a Medea,

e qui, lo zaino entra in funzione,

ci dà il corredo per farci cambiare.

 

        E lo zaino

        che noi portiamo

        l’è il guardaroba

        di noi soldà.

        E tu biondina… ecc.

 

La guerra ormai è vinta ed il nemico

molto lontan da noi se n’è scappato

ed il fucile nostro assai pulito

nei magazzeni abbiam depositato,

ma se ancor servisse per la Patria

lo riuseremmo con molto valor.

 

        E il fucile

        che noi portiamo

        l’è la difesa di noi soldà.

        E tu biondina… ecc.

LA RIVISTA DEL CORREDO E DELL’ARMAMENTO

 

E le giberne che noi portiamo

son portaciche, son portaciche…

e le giberne che noi portiamo

son portaciche di noi soldà.

 

        E tu biondina

        capricciosa garibaldina trullallà,

        tu sei la stella, tu sei la stella.

        E tu biondina

        capricciosa garibaldina trullallà,

        tu sei la stella di noi soldà.

 

E le stellette che noi portiamo

son disciplina…

 

E la borraccia che noi portiamo

è la cantina…

 

E la gavetta che noi portiamo

è la cucina…

 

E le scarpette che noi portiamo

son le barchette…

 

E lo zaino che noi portiamo

quello è l’armadio…

 

E le fasce che noi portiamo

son parafanghi…

 

E il fucile che noi portiamo

è la difesa…

 

E la penna che noi portiamo

è la bandiera…

 

E il pistocco che noi portiamo

è il paga-debiti…

 

E il cappello che noi portiamo

quello è l’ombrello…

 

E gli alamari che noi portiamo

sono l’onore…

 

E il novantuno che noi portiamo

è un bastoncino…

LA RIVISTA DELL'ARMAMENTO\ il corredo del soldato (?)

 

E il cappello

che noi portiamo

sì l'è l'ombrello

di noi Alpin!
Cara biondina capricciosa garibaldina

tu sei la stella di noi Alpin!

 

        E le giberne
        che noi portiamo
        son porta cicche
        per noi Alpin.

 

E lo zaino

che noi portiamo

sì l'è l'armadio di noi Alpin.

 

        E la gavetta
        che noi portiamo
        è la cucina
        di noi Alpin.

 

La penna nera che noi portiamo

è la bandiera di noi Alpin.

 

        E la borraccia
        che noi portiamo
        è la cantina
        di noi Alpin.

 

E le fasce
che noi portiamo

son parafanghi

di noi Alpin.

 

        E le scarpette

        che noi portiamo
        son le barchette
        di noi Alpin.

 

E il fucile
che noi portiamo
è la difesa
di noi Alpin.

 

        E le stellette

        che noi portiamo

        son disciplina

        di noi Alpin.

 

E il pistocco
che noi portiamo
è il pagadebiti
di noi Alpin.

LA RIVISTA DELLE “BELESSE” DELLA MOROSA

 

Chi t’ha fatto quei bei occin?

Occin d’amor…?

Occin d’amor…?

Chi t’ha fatto quei bei occin?

Occin d’amor…?

Occin d’amor…?

 

        Me li ha fatto la mia mammà…

        Con l’aiuto del mio papà!…

        Del tuo papà…?

 

Non mi toccare, son debole

son verginella d’amor…

Non ti tocchiamo, sei debole

sei verginella d’amor!…

Chi t’ha fatto quel bel nasin? Nasin d’amor?…

 

Nasin d’amor?…

Nasin d’amor?…

Me l’ha fatto etc. etc.

LA ROSEANE

 

Ai cjatat biele frute

bionde, sane, e fate ben,

cu la cotule curtute,

bielis spalis, un biel sen;

cun rispiet i doi la man

i domandi la ch'e sta.

Je mi dis: - Lui 'l è furlan

ancje jo o soi sù di là.

 

        Da la Russie l'antenat

        stabilit sot il Canin;

        il gno ben al è soldat

        'l è di Rèsie, 'l è Alpin.

        La beleçe de valade,

        i pais poiats sul plan;

        de me val son nemorade

        soi di Rèsie, sin furlans.

LA SENTINELLA

 

Era una notte che pioveva

e che tirava un forte vento:

immaginatevi che gran tormento

per un alpin che sta a vegliar.

 

A mezzanotte arriva il cambio

accompagnato dal capoposto:

“Oh sentinella torna al tuo posto,

sotto la tenda a riposar!”

 

Quando fui stato ne la mia tenda

Sentii un rumore giù per la valle,

sentivo l’acqua giù per le spalle,

sentivo i sassi a rotolar.

 

Mentre dormivo sotto la tenda

sognavo d’essere con la mia bella

e invece ero di sentinella

fare la guardia allo stranier.

LA SMORTINA

 

Tutti mi dicon che son smortina!…

L’è l’amor che mi rovina!…

Ma quand’è che sarò sposina…

i miei colori ritorneran!…

 

        Se l’è vero che tu mi ami,

       dammi un pegno del tuo amore!

       Fai contento sto misero cuore

       e poi di gioia io morirò!…

 

L’altra notte mi son sognata

ch’eri tanto a me vicino!…

Con la testa sul tuo cuscino…

io mi giravo di qua e di là!…

LA SOLDANELLA

 

Lassù sull’Alpi dai bei color

Una fanciulla mutata è in fior.

È soldanella che fra le rupi,

più alta è prima a rifiorir.

        Su quelle cime

        Noi siam saliti

        Dove più bello

        Risplende il sol

Ora in vetta siam

Ed allor, cantiam!…

LA SONADA DEI CONGEDAA…

 

“Congedaa, congedaa, col sacchett alla man…!

Permanent, permanent

in piazza d’armi col Tenent!…”

        Salta fuori, salta fuori una “cappella”,

        tutta sporca e scalcinata…,

        “Che cos’è questa sonata?…”

        “Che cos’è questa sonata?…”

        Salta fuori, salta fuori una “cappella”

        tutta sporca e scalcinata…,

        “Che cos’è questa sonata?…”

        “la sonada dei congedà!…”.

“Congedaa, congedaa col sacchett alla man…

Permanent, permanent

in piazza d’armi col Tenent!…”.

                Tra-ra-la-la-re-ra-la-la-là

                Tra-ra-la-la-re-ra-là

                Tra-ra-la-la-re-ra-la-la-là

                Tra-ra-la-la-re-ra-là!…

“Non sarà mai più la mamma

che ti chiama alla mattina…,

ma sarà la trombettina

che ti viene a risvegliar…”

        Caporale, caporale di giornata

        sulla porta del quartiere,

        fa suonar dal trombettiere

        l’adunata dei congedaa!…

L’adunata, l’adunata è già suonata

i plotoni riuniti

lasciaremo sti coscritti

con i mesi che hann, da far!…

LA SVEGLIA DEGLI “SCARPONI”

 

Il gallo ha già cantato,

smettila di dormir;

il sacco è preparato

è l’ora di partir

        Infila gli scarpon,

        prepara i tuoi polmon,

        la brezza di quell’aria

        a respirar;

quest’è la vita ideal

che tutti fa dimenticar

        il diretto rovesciò,

i guai della città,

mentre si va, si va…

        si và per il sentiero

        che porta in cima al monte;

        ci troverem di fronte

        al sol che nascerà.

Lassù le stelle alpine,

tra la rugiada, attendon già

e la per quelle chine,

a coglierle si và, si và!

LA TRADOTTA CHE LA VA A ROMA

 

La “tradotta” che parte da Milanooo…

La va a Roma senza mai fermàaaa…

Stracargàda de “Veci” Alpini…

Stracargàda de “Veci” Alpini…

La “tradotta” che parte da Milanooo…

La va a Roma senza mai fermàaaa…

Stracargàda de “Veci” Alpini…

Che se stracchen mai un minut de cantàaaa!…

 

        Benchè “Veci” sem scarponi sempr’in gamba

        quand’Num pàssem tucc se volten indrèee…

        E se viaggium…, bévum, mangium…

        Sem Num che paga con i nost’danèeee…

 

Num semm gl’ALPINI che un dì hann fa la Guerra,

difensori semm dei noster Confinn…

Che  se el RE El gavarà bisognaaaa…

Sem sempre bun de pestagiò i Tugninnn!…

 

        Quand’ i Romani vederann la gran sfilada…

        A bucca averta tucc i re-esterann…

        E se… d’Alpinn n’hann vist ben pochi…

        Finalment i ne ri-mi-ra-rann!…

 

Che se in Guerra furse Emm di’ na quai Bestéma…

Andand’ a Roma saremm tucc perdunàaa…

Perché el PAPA…, che L’è Alpinista,

da S. PEDER EL ne benediràaaa!…

 

        S’el nost cappel, che l’è la nostra umbréla,

        per tutt el Mund ghe l’hann imitàaa…,

        LA PENNA NERA, che l’è insci bella,

        gl’Alpini soli ghe l’hann da portàaaa!

 

E v’jalter “Bocia” si dei cavigioni,

pudi ciamass propri fortunaaa…

Che stand’insema a Num Scarponi…

Diventarì i pusè mei Suldàaaa!…

LA TRADOTTA CHE PARTE DA NOVARA

 

La tradotta che parte da Novara

e va diretta al Monte Santo,

e va diretta al Monte Santo,

cimitero della gioventù.

 

Sulle montagne fa molto freddo

ed i miei piedi si son gelati

ed i miei piedi si son gelati

e all’ospedale mi tocca andar.

 

Appena giunto all’ospedale

Il professore mi ha visitato:

“O figlio mio, sei rovinato,

ed i tuoi piedi li dobbiamo tagliare.”

 

Ed i miei piedi mi hanno tagliato,

due stampelle mi hanno dato,

due stampelle mi hanno dato

e a casa mia lor mi han mandà.

 

A casa mia mi sono arrivato,

fratelli e madre compiangenti

e tra singhiozzi e tra lamenti:

“O figlio caro, tu sei rovinà!”

 

Mi hanno assegnato una pensione

di una lira e cinquantotto,

mi tocca fare il galeotto

per potermi disfamar.

 

Ho girato tutti i paesi

e tutti quanti hanno compassione,

ma quei vigliacchi di quei signori

nemmeno un soldo lor mi hanno dà.

LA TRADOTTA CHE PARTE DA TORINO / LA TRADOTTA

 I canti di guerra suscitano sempre commozione, sgomento e riflessione. La tradotta che parte per andare al Piave “cimitero della gioventù”, lascia nel cuore della madre la speranza di ritrovare un giorno il suo “Ninetto” sepolto in un cimitero di guerra.

 

La tradotta che parte da Torino

a Milano non si ferma più

ma la va diretta al Piave,

ma la va diretta al Piave…

 

La tradotta che parte da Torino

a Milano non si ferma più

ma la va diretta al Piave,

cimitero della gioventù.

 

Siam partiti in ventisette,

solo in cinque siam tornati qua,

e quegli altri ventidue

sono morti a San Donà.

 

Cara suora, son ferito,

a domani non ci arrivo più,

se non torno alla mia mamma

questo fiore ce lo porti tu.

 

A Nervesa c’è una croce,

uno dei nostri sta disteso là;

io ci ho scritto su: Ninetto,

che la sua mamma lo ritroverà.

LA TRADOTTA CHE VA A NIZZA

 

La tradotta che parte da Milano…

A Ventimiglia non si ferma più…

Ma la va diretta a Nizza,

ma la va diretta a Nizza…

La tradotta che parte da Milano

a Ventimiglia non si ferma più

ma la va diretta a Nizza

dove la Francia non vogliamo più…

 

        A Caprera, a Caprera vi è una tomba,

        Garibaldi l’è sepolto là

        ma nel dì dell’avanzata,

        ma nel dì dell’avanzata…

        A Caprera, a Caprera vi è una tomba,

        Garibaldi l’è sepolto là

        ma nel dì dell’avanzata,

        trionfante Lui risorgerà!…

 

La sua Nizza rifaremo Italiana

e la Corsica pur libererem

da Malta, Tunisi e anche da Cipro

da Malta, Tunisi e anche da Cipro…

La sua Nizza rifaremo Italiana

e la Corsica pur libererem

da Malta, Tunisi e anche da Cipro

quei boja inglesi noi discaccerem!…

 

        E l’Italia divenuta alfin padrona

        del Mare nostrum ch’un dì romano fu

        dirà al mondo stupefatto,

        dirà al mondo stupefatto…

        E l’Italia divenuta alfin padrona

        del Mare nostrum ch’un dì romano fu

        dirà al mondo stupefatto…:

        “l’impero inglese non esiste più…”

 

                                Così sia, amen.

LA VIEN GIÙ

 

La vien giù dalle montagne,

l’è vestita alla francese,

da un bel giovane cortese

gli fu chiesto far l’amor.

 

“Lo ringrazio, o giovanotto,

la ringrazio del buon cuore,

appartengo a un altro amore

che mi ama e mi vuol ben”.

 

“Vatten via, o sciagurata,

vatten via su le montagne,

a raccoglier le castagne

con gli agnelli a pascolar”.

Io non sono montanara

e nemmeno paesana

sono nata in su la spiaggia

e son figlia del bel mar.

 

Ed il sole fù mio padre

e la luna fù mia madre

le sorelle son le stelle

che scintillano nel ciel.

 

“Sono nata in mezzo ai fiori,

in mezzo ai fiori di vermiglio

sono pura come un giglio,

come un giglio voi morir”.

LA VILLANELLA

 

Varda che passa la villanella;

osc-ce che bela, la fa innamorar!

        O come bali bene bela bimba,

        bela bimba, bali ben!

Varda quel vecio sotto la scala

osc-ce che bala, ch’el gh’ha ciapà.

        O come bali bene bela bimba,

        bela bimba, bali ben!

Varda quel merlo dentro la gabbia

osc-ce che rabbia ch’el gh’ha ciapà.

        O come bali bene bela bimba,

        bela bimba, bali ben!

Dansa al mattino, dansa alla sera

sempre leggera sembra volar.

        O come bali bene bela bimba,

        bela bimba, bali ben!

LA VIOLETTA, LA VA, LA VA

 

E la Violetta la va, la va… la va, la va!

la va, la va!

La va sul campo, la s’era insugnada

che gh’era el so Gingin che la rimirava!…

Perché te me rimiri, Gingin d’amor?

        Gingin d’amor?

Mi te rimiri, perché tu sei bella,

e se tu vuoi venire con me alla guerra.

E mi con ti’ alla guerra, non vo venir,

        non vo venir…

Mi non vo venir con ti’ alla guerra

perché si mangia mal e si dorme per terra.

No, no per terra tu non dormirai,

        non dormirai!!…

Tu dormirai sopra un letto di fiori

con quattro bei alpin… e lassa fa a lori!…

LEGGENDA DI GUERRA

 

Laggiù in una casetta,

d’Italia sul confin,

viveva una vecchietta,

la madre di un alpin…

Col figlio suo d’accanto,

nella quiete li fra i monti

viveva in un incanto,

la vecchia col suo alpin…

Ma un dì, fra le vette,

fra i bianchi nevai…

fra gole e ghiacciai,

una voce ascoltò:

“Madre orsù!

il figlio tuo dammi anche tu…

Lo stranier

calpesta ancor le mie frontier.

Io la Patria son…

e i miei figli tutti vo’…

Lo stranier

è qui alle frontier!…”

“Su parti figlio mio:

la Patria ti chiamò…

e t’accompagni Iddio…

per te lo pregherò!

Ma verso l’orizzonte,

dove tu combatterai,

a notte, su quel monte

la madre tua verrà”.

Così a mezzanotte

la vecchia arrivava…

dal monte chiamava

il suo caro alpin.

“Figlio, qui,

fra neve e gei, starò così…

di laggiù

la madre tua chiama anche tu”

“Madre io son qui”

(rispondeva ognor l’alpin)

Lieta in cuor

se ne andava allor.

Rombava la mitraglia

là proprio sul confin.

“È giorno di battaglia

per il mio figlio alpin.

Mio Dio! fa che ritorni

qui con me nella casetta

ad allietarmi i giorni

o me ne morirò”.

Con ansia mortale

sul monte andò urlando…

ma invano chiamando

il suo caro alpin!

“Madre, tu

il figlio tuo non chiamar più,

sul mio altar,

la gioventù seppe immolar…

Ei dorme quaggiù

Né si desterà mai più!

Madre, tu

lo rivedrai lassù”.

L'ELLERA VERDE

 

L'ellera verde, che s'attacca e more

avvitucchiata j'urnu manu manu,

paréa vedé la sciarte 'e ju pastore

che guarda ju Gran Sassu da luntanu.

 

        E ci arepensa ancora zittu zittu

        chiagnienno 'ntr'a la 'rotte fittu fittu.

 

Coperta 'e neve e cu 'nu mantu 'e celu

la vecchia cima sta tutta rucosa

spacchemmo ju turchino senza velu

co' n'aquila che gira senza posa.

 

        'Stu cantu allora pare nu suspiru,

        diventa nu signuzzu ogni rispiru.

 

Quann'è l'Avemaria, la ciaramella

resona co 'na voce fiacca fiacca,

e ju Gran Sassu guarda a la Majella,

cchiù se resvejia l'ellera e s'attacca.

 

        'Stu cantu è fattu de malinconia

        e la montagna è tutta 'na malia!

LES MONTAGNARDS

 

Vous etes mes amours:

Montagnes de ma vallée,

Cabanes fortunées,

Vous me plairez toujours.

Rien n’est si beau que ma patrie

Rien n’est si doux que mon amie,

Oh! Montagnards,

Chantez en choeur

De mon pays

La paix et le bonheur!

Halte-là! Halte-là! Halte-là!

Les Montagnards sont là!

Laisse-là tes montagnes!

Me dit un étranger;

Suivis moi dans mes campagnes,

Vien, ne sois plus berger!

Jamais, jamais, cette follie!

Je suis hereux de cettevie,

J’ai ma ceinture

Et mon béret

Mes chants joyeux,

Mon amie et mon chalet!

Sur la cime argentée

Des ces pics orageux,

La nature danptée

Favorise nos jeux.

Vers les glaciers, d’un plomb rapide,

J’atteis souvent l’ours intrépide

Et sur les monts

Plus d’une fois

J’ai devancé

La course du chamois!

Dejà dans la vallée

Tout est silencieux;

La montagne voilée

Se dérobe à nos yeux…

On n’entend plus dans la nuit sombre

Que le torrent mugir dans l’ombre.

Oh! Montagnards;

Chantez  plus bas

Thérèse dort,

Ne la réveillons pas!

LI BEI FIEUJ

 

Li bei fieuj van fè 'l soldà

e li macaco a stan a cà.

Stan a cà a guardè le fije

e a san gnanca cosa dije.

LUISIN

 

Un dì per 'sta contrada

passava un bel fieu

e un mazzolin di rose

l'ha trà in sul me poggieu.

 

        E per tri mes de fila

        e squasi tutti i dì

        el passeggiava sempre

        domà per veder mi.

 

Vegnù 'l cinquantanoeuv,

che guerra disperada!

E mi per 'sta contrada

l'ho pu vedu passà.

 

        Un dì pioveva. Ver sera

        s'ciopavi del magon,

        quand m'è rivà 'na lettera

        col bord de condizion.

 

Scriveva la sorella

del pover Luisin

che l'era mort in guerra

de fianc al Castellin.

 

        Hin già passà trii ann,

        l'è mort, el vedi pu,

        e pur sto coeur

        l'è chi ancamò per lu.